Benvenuti al nostro podcast FADOI. Oggi vi raccontiamo un caso clinico reale accaduto a Cagliari, che solleva un importante quesito decisionale in medicina interna. Un uomo di 78 anni, affetto da scompenso cardiaco con frazione d’eiezione ridotta, è stato ricoverato nel reparto di medicina interna. Il caso è raccontato dal nostro collega, con un focus su una decisione clinica chiave che invitiamo voi ascoltatori a riflettere e commentare.
Racconto del caso
Un uomo di 78 anni è stato ricoverato presso il reparto di medicina interna con una diagnosi di scompenso cardiaco acuto con frazione d’eiezione ridotta (HFrEF). Al momento del ricovero, il paziente presentava dispnea marcata a riposo, edema periferico significativo e versamento pleurico bilaterale di modesta entità.
La storia clinica del paziente includeva:
- Ipertensione arteriosa da lungo tempo.
- Diabete mellito di tipo 2 in terapia orale.
- Precedente infarto miocardico trattato con angioplastica.
- Insufficienza renale cronica moderata (eGFR 45 ml/min).
L'ECG mostrava fibrillazione atriale a risposta ventricolare rapida (circa 120 bpm). Gli esami ematici hanno rivelato:
- BNP marcatamente elevato.
- Creatinina 2.1 mg/dl.
- Potassio 5.2 mEq/L.
Il trattamento iniziale ha incluso:
- Diuretici per via endovenosa (furosemide).
- Ossigenoterapia a basso flusso.
- Inizio di beta-bloccanti (carvedilolo a bassa dose) e ACE-inibitori.
Dopo 48 ore, la situazione è migliorata, ma permaneva una fibrillazione atriale a elevata frequenza. A questo punto, il team si è trovato davanti a un'importante decisione: iniziare una terapia anticoagulante orale, tenendo conto del rischio tromboembolico (CHA2DS2-VASc = 6) o evitare l'anticoagulazione a causa del rischio emorragico elevato (HAS-BLED = 4)?
Quesito clinico
In un paziente con scompenso cardiaco acuto, fibrillazione atriale e comorbilità significative, è opportuno avviare una terapia anticoagulante orale per la prevenzione del rischio tromboembolico, nonostante il rischio emorragico elevato?